L'oliveto- giardino


Nell'oliveto-giardino si raccolgono bacche, fiori, foglie e frutti delle piante spontanee e si custodiscono circa 100 piante di olivo in un terreno con una forte pendenza che è stato sapientemente terrazzato nel passato dalle famiglie di mezzadri. Inoltre, sono presenti alcuni alberi da frutto inselvatichiti. Un Noce, un Ontano e un Rovere dai quattro tronchi sono gli alberi iconemi che ci introducono nel bosco del Rio del Ginestreto ad est dell’oliveto.


Il podere è ora uno spazio in divenire: alcune balze a oliveto sono sommerse da rovi, edere ed acacie. Alcune zone rimarranno probabilmente tali per costituire un rifugi per gli uccelli durante il periodo di nidificazione. Ci vorrà almeno un anno solare per catalogare e capire le sinergie tra gli esseri viventi che già popolano questo lembo di terra (pettirossi, gheppi, capinere, civette, coccinelle, grilli, farfalle, api, bombi, calabroni, cinghiali, caprioli, volpi, faine) e per esplorare gli innumerevoli usi medicinali e alimentari delle piante selvatiche presenti. A partire dall’esistente, cercheremo di capire cosa si può introdurre per creare bellezza senza fare troppo rumore. Il giardiniere-paesaggista, come dice Paolo Pejrone, di fronte al cambiamento climatico procede con molti dubbi e poche certezze: risparmiare acqua, risparmiare energia, osservare e procedere con lentezza. D’altronde il paesaggio esiste quando si inserisce la variabile tempo nella propria percezione dello spazio; e se si va di fretta si percepisce il tutto in maniera sfocata.

 

I principi dell’agricoltura naturale


Fondamentale è stata per noi la lettura del La Rivoluzione del Filo di Paglia del visionario agronomo giapponese Masanobu Fukuoka, padre dell’agricoltura naturale. L’agricoltura naturale è quasi una pratica zen. Si basa innanzitutto sull’osservazione dei processi già in atto nell’ecosistema, sulla sua capacità di resilienza e sulla conservazione della fertilità del suolo. Non si lavora la terra con l’aratura. Non si usano né concimi chimici, né pesticidi, né diserbanti perché si cerca di cooperare con gli elementi già presenti nell’ecosistema. L’intervento dell’uomo deve essere minimo o nullo per non distruggere l’architettura naturale delle piante, la struttura del suolo, i processi chimici e biologici già in atto nel terreno. Un agrosistema può essere un sistema complesso e resiliente che tende a imitare le sinergie presenti in un bosco e non implica l’intervento preponderante dell’uomo.

La visione


Immaginiamo un giardino dove camminare liberamente e poterci al tempo stesso radicare. Uno spazio aperto alla diversità e senza confini ben definiti. Un luogo che si prenda cura di noi e di cui prenderci cura, diventando con lui paesaggio.


Aspiriamo a vivere in un giardino nomade e selvatico, il che non vuol dire lasciare il giardino abbandonato a sé stesso. “il giardino nomade è il selvatico che si fa immagine. È il selvatico che si racconta attraverso i tempi e le forme delle crescite vegetali. (...) È l’autogestione degli ecosistemi della natura selvatica che può raccontarci le storie di cui abbiamo bisogno.” (da Geoanarchia. Appunti di resistenza ecologica di Matteo Meschiari)